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168 viii - adriano in siria


          Fra lor s’annodano

     sul labbro i detti;
     e il cor, che palpita
     fra mille affetti,
     par che non tolleri
     di starmi in sen.
(parte, seguito da tutto l’accompagnamento barbaro)

SCENA III

Osroa solo.

Dalla man del nemico

il gran pegno si tolga
che può farmi tremare, e poi si lasci
libero il corso al mio furor. Paventa,
orgoglioso roman, d’Osroa lo sdegno.
Son vinto e non oppresso,
e sempre a’ danni tuoi sarò l’istesso.
          Sprezza il furor del vento
     robusta quercia, avvezza
     di cento verni e cento
     l’ingiurie a tollerar.
          E, se pur cade al suolo,
     spiega per l’onde il volo,
     e con quel vento istesso
     va contrastando in mar. (parte)

SCENA IV

Appartamenti destinati ad Emirena nel palazzo imperiale.

Aquilio, poi Emirena.

Aquilio. Ah! se con qualche inganno

non prevengo Emirena, io son perduto.
Cesare generoso