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134 vii - artaserse


nel figlio vendicar con piú rigore
e di Serse la morte e ’l suo rossore.
Mandane. Dunque cosí...
Artaserse.  Cosí, se Arbace è il reo,
la vittima assicuro al re svenato,
ed al mio difensor non sono ingrato.
Artabano. Ah! signor, qual cimento...
Artaserse. Degno di tua virtú.
Artabano.  Di questa scelta
che si dirá?
Artaserse.  Che si può dir? Parlate, (ai grandi)
se v’è ragion che a dubitar vi muova.
Megabise. Il silenzio d’ognun la scelta approva.
Semira. Ecco il germano.
Mandane.  (Aimè!)
Artaserse.  S’ascolti.
 (Artaserse va in trono, e i grandi siedono)
Artabano.  (Affetti,
ah! tollerate il freno.) (nell’andare a sedere al tavolino)
Mandane. (Povero cor, non palpitarmi in seno!)

SCENA XI

Arbace con catene fra alcune guardie, e detti.

Arbace. Tanto in odio alla Persia
dunque son io, che di mia rea fortuna
l’ingiustizia a mirar tutta s’aduna?
Mio re...
Artaserse. Chiamami «amico». Infin ch’io possa
dubitar del tuo fallo, esser lo voglio:
e, perché sí bel nome
in un giudice è colpa, ad Artabano
il giudizio è commesso.
Arbace.  Al padre!
Artaserse.  A lui.