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atto secondo 123


Artabano.  Vinca la forza
le resistenze tue. Sieguimi! (va a prenderlo)
Arbace. (si scosta) In pace
lasciami, o padre. A troppo gran cimento
riduci il mio rispetto. Ah! se mi sforzi,
farò...
Artabano.  Minacci, ingrato?
Parla, di’: che farai?
Arbace.  Nol so; ma tutto
farò per non seguirti.
Artabano.  E ben, vediamo
chi di noi vincerá. Sieguimi, andiamo!
(lo prende per mano)
Arbace. Custodi, olá!
Artabano.  T’accheta.
Arbace.  Olá! custodi,
rendetemi i miei lacci. Al carcer mio
guidatemi di nuovo.
 (Artabano lascia Arbace, vedendo custodi)
Artabano.  (Ardo di sdegno.)
Arbace. Padre, un addio.
Artabano.  Va’, non t’ascolto, indegno!
               Arbace. Mi scacci sdegnato,
          mi sgridi severo:
          pietoso, placato
          vederti non spero,
          se in questi momenti
          non senti pietá.
               Che ingiusto rigore!
          che fiero consiglio!
          scordarsi l’amore
          d’un misero figlio,
          d’un figlio infelice;
          che colpa non ha. (parte con le guardie)