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110 vii - artaserse


Artabano. Inutile accortezza
sarebbe stata in me. Fûro i custodi
sí pronti ad ubbidir, che Dario estinto
vidi pria che assalito.
Artaserse.  Ah! questi indegni
non avranno macchiato
del regio sangue impunemente il brando.
Artabano. Signor, ma il tuo comando
li rese audaci; e sei l’autor primiero
tu sol di questo colpo.
Artaserse.  È vero, è vero:
conosco il fallo mio;
lo confesso, Artabano, il reo son io.
Artabano. Sei reo! Di che? D’una giustizia illustre,
che un eccesso puní? D’una vendetta
dovuta a Serse? Eh! ti consola, e pensa
che nel fraterno scempio
punisti alfine un parricida, un empio.

SCENA X

Semira e detti.

Semira. Artaserse, respira.
Artaserse. Qual mai ragion, Semira,
in sí lieto sembiante a noi ti guida?
Semira. Dario non è di Serse il parricida.
Mandane. Che sento!
Artaserse.  E donde il sai?
Semira.  Certo è l’arresto
dell’indegno uccisor. Presso alle mura
del giardino real fra le tue squadre
rimase prigionier. Reo lo scoperse
la fuga, il loco, il ragionar confuso,
il pallido sembiante,
e ’l suo ferro di sangue ancor fumante.