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98 vii - artaserse


dell’amicizia tua. Cresceste insieme
di fama e di virtú. Voi sempre uniti
vide la Persia alle piú dubbie imprese;
e l’un dall’altro ad emularsi apprese.
Ti ammirano le schiere,
il popolo t’adora, e nel tuo braccio
il piú saldo riparo aspetta il regno:
avrai fra tanti amici alcun sostegno.
Arbace. Ci lusinghiamo, o cara. Il tuo germano
vorrá giovarmi invano. Ove si tratta
la difesa d’Arbace, egli è sospetto
non men del padre mio: qualunque scusa
rende dubbiosa alla credenza altrui
nel padre il sangue e l’amicizia in lui.
L’altra turba incostante
manca de’ falsi amici, allor che manca
il favor del monarca. Oh, quanti sguardi,
che mirai rispettosi, or soffro alteri!
Onde che vuoi ch’io speri? Il mio soggiorno
serve a te di periglio, a me di pena:
a te, perché di Serse
i sospetti fomenta; a me, che deggio
vicino a’ tuoi bei rai
trovarmi sempre e non vederti mai.
Giacché il nascer vassallo
colpevole mi fa, voglio, ben mio,
voglio morire o meritarti. Addio. (in atto di partire)
Mandane. Crudel! come hai costanza
di lasciarmi cosí?
Arbace.  Non sono, o cara,
il crudel non son io. Serse è il tiranno;
l’ingiusto è il padre tuo.
Mandane.  Di qualche scusa
egli è degno però, quando ti niega
le richieste mie nozze. Il grado... Il mondo...
La distanza fra noi... Chi sa che a forza