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atto secondo 43


Iarba.  Saperlo io bramo.
Didone. Giacché vuoi, tel dirò: perché non t’amo,
perché mai non piacesti agli occhi miei,
perché odioso mi sei, perché mi piace,
piú che Iarba fedele, Enea fallace.
Iarba. Dunque, perfida, io sono
un oggetto di riso agli occhi tuoi!
Ma sai chi Iarba sia?
Sai con chi ti cimenti?
Didone. So che un barbaro sei, né mi spaventi.
               Iarba. Chiamami pur cosí:
          forse, pentita, un dí
          pietá mi chiederai;
          ma non l’avrai da me.
               Quel barbaro, che sprezzi,
          non placheranno i vezzi:
          né soffrirá l’inganno
          quel barbaro da te. (parte)

SCENA XIV

Didone sola.

E pure in mezzo all’ire
trova pace il mio cor. Iarba non temo;
mi piace Enea sdegnato, ed amo in lui,
come effetti d’amor, gli sdegni sui.
Chi sa? Pietosi numi,
rammentatevi almeno
che foste amanti un dí, come son io,
ed abbia il vostro cor pietá del mio.
               Va lusingando Amore
          il credulo mio core:
          gli dice: — Sei felice; —
          ma non sará cosí.