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Cleofide. (ad Alessandro) Egli sostiene
le veci del suo re, perciò si scorda
d’essere Asbite. (a Poro) Eh! rammentar dovresti
che suddito nascesti, e che non basta
un comando real, perché in obblio
tu ponga il grado tuo. (Taci, ben mio.), ecc.
SCENA VIII
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alessandro. . . . . . . . . . . . . . .
custodito rimanga e prigioniero.
Poro. Io prigionier!
Cleofide. Deh! lascia
Asbite in libertá. Sua colpa alfine
è l’esser fido a Poro. Un tal delitto
non merita il tuo sdegno.
Alessandro. Di sí bella pietá si rese indegno.
D’un barbaro scortese
non rammentar l’offese
è un pregio che innamora
piú che la tua beltá.
Da lei, crudel, da lei, (a Poro)
che ingiustamente offendi,
quella pietade apprendi,
che l’alma tua non ha. (parte)
SCENA X
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Timagene. . . . . . . . . . . . . . .
che doveva al passaggio esser primiera.
Poro. Chi può di te fidarsi?
Timagene. Io mille prove
ti darò d’amistá. Va’: la mia cura
prigionier non t’arresta.
Libero sei: la prima prova è questa.