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Cleofide s’invia:
non deggio rimaner. (in atto di partire)
Gandarte. Férmati. E vuoi
per vana gelosia
scomporre i gran disegni? Agli occhi altrui
debole comparir? Vedi che sei
a Cleofide ingiusto, a te nemico.
Poro. Tu dici il vero: io lo conosco, amico.
Ma che perciò? Rimprovero a me stesso
ben mille volte il giorno i miei sospetti;
e mille volte il giorno
ne’ miei sospetti a ricadere io torno.
Se possono tanto
due luci vezzose,
son degne di pianto
le furie gelose
d’un’alma infelice,
d’un povero cor.
S’accenda un momento
chi sgrida, chi dice
che vano è il tormento,
che ingiusto è il timor. (parte)
SCENA X [IX]
Erissena e Gandarte.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Erissena. Se Alessandro una volta
giungi a veder, gli troverai nel viso
un raggio ancora ignoto
d’insolita beltá.
Gandarte. Per fama è noto.
Deh! non perdiamo, o cara,
con ragionar di lui, questo momento
che dal ciel n’è permesso.
Erissena. Eh! non è giá l’istesso
. . . . . . . . . . . . . .
Gandarte. Ma tanto
parlar di lui tu non dovresti. Io temo,