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346 v - alessandro nell'indie


Gandarte. Privo di te, servo de’ greci, in odio (a Cleofide)
ebbe Poro la vita.
Cleofide. (piangendo)   I suoi furori
mi predicean qualche funesto eccesso.
Gandarte. Ma donde il sai?
Erissena.  Da Timagene istesso.
Cleofide. Che mi giovò su l’are
tante vittime offrirvi, ingiusti dèi?
Se voi de’ mali miei
siete cagione, all’ingiustizia vostra
non son dovute; e, se governa il caso
tutti gli umani eventi, (con passione disperata)
vi usurpate il poter, numi impotenti!
Gandarte. Ah, che dici, o regina! Un mal privato
spesso è pubblico bene;
e v’è sempre ragione in ciò che avviene.
Fuggi; torna in te stessa;
pensa a salvarti.
Cleofide. (come sopra)   A che fuggir? Qual danno
mi resta da temer? Lo sposo, il regno,
misera! giá perdei; si perda ancora
la vita che m’avanza:
dov’è piú di periglio, ho piú speranza.
               Se il ciel mi divide
          dal caro mio sposo,
          perché non m’uccide
          pietoso il martír?
               Divisa un momento
          dal dolce tesoro,
          non vivo, non moro;
          ma provo il tormento
          d’un viver penoso,
          d’un lungo morir. (parte)