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atto secondo 345

SCENA XIII

Cleofide, Gandarte; poi Erissena.

Cleofide. Chi sperava, o Gandarte,
tanta felicitá fra tanti affanni?
Quanto dobbiamo a’ tuoi pietosi inganni!
Gandarte. Di vassallo e d’amico
ho compiuto il dover. Ma... chi s’appressa?
Cleofide. Sará forse lo sposo.
Ah, no: giunge Erissena.
Gandarte.  Oh, come asperso
ha di lagrime il volto!
Cleofide.  Eh! non è tempo
di pianto, o principessa. Andremo altrove
a respirar con Poro aure felici.
Erissena. Ah! che Poro morí.
Cleofide.  Come?
Gandarte.  Che dici!
Cleofide. Mi ha tradita Alessandro!
Erissena.  Ei di se stesso
fu l’uccisor.
Cleofide.  Quando? Perché? Finisci
di trafiggermi il cor. (con affanno e fretta)
Erissena.  Sai che rimase,
creduto Asbite, a Timagene in cura...
Cleofide. E ben?
Erissena.  Cinto da’ greci,
lungo il fiume alle tende
andava prigionier, quando si mosse
con impeto improvviso, ed i sorpresi
improvidi custodi urtò, divise:
fra lor la via s’aperse,
si lanciò nell’Idaspe e si sommerse.