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atto primo 315


Poro.  Nacqui sul Gange;
vissi fra l’armi; Asbite ho nome; ancora
non so che sia timor; piú della vita
amar la gloria è mio costume antico;
son di Poro seguace e tuo nemico.
Alessandro. (Oh ardire! oh fedeltá!) Qual è di Poro
l’indole, il genio?
Poro.  È degno
d’un guerriero e d’un re. La tua fortuna
l’irrita e non l’abbatte; e spera un giorno
d’involar quegli allori alle tue chiome
colá su l’are istesse,
che il timor de’ mortali offre al tuo nome.
Alessandro. In India eroe sí grande
è germoglio straniero. In greca cuna
d’esser nato il tuo re degno saria.
Poro. Credi dunque che sia
il ciel di Macedonia
sol fecondo d’eroi? Pur su l’Idaspe
la gloria è cara e la virtú s’onora:
ha gli Alessandri suoi l’Idaspe ancora.
Alessandro. Valoroso guerriero, al tuo signore
libero torna, e digli
che sol vinto si chiami
dalla sorte o da me. L’antica pace
poi torni a’ regni sui:
altra ragion non mi riserbo in lui.
Poro. «Vinto si chiami»! E ambasciador mi vuoi
di simili proposte?
Poco opportuno ambasciador scegliesti.
Alessandro. Ma degno assai. (a greci) Si lasci
libero il varco al prigionier. Ma inerme
partir non dee. Questa, ch’io cingo, accetta
 (si toglie dal fianco la spada per darla a Poro)
di Dario illustre spoglia,
che la man d’Alessandro a te presenta;