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atto secondo 271


SCENA V

Fulvia, poi Ezio.

Fulvia. Che fo? Dove mi volgo? Egual delitto
è il parlare e il tacer. Se parlo, oh Dio!
son parricida, e nel pensarlo io tremo.
Se taccio, al giorno estremo
giunge il mio bene. Ah! che all’idea funesta
s’agghiaccia il sangue e intorno al cor s’arresta!
Ah! qual consiglio mai...
Ezio, dove t’inoltri? ove ten vai? (vedendo Ezio)
Ezio. In difesa d’Augusto. Intesi...
Fulvia.  Ah, fuggi!
In te del tradimento
cade il sospetto.
Ezio.  In me! Fulvia, t’inganni.
Ha troppe prove il Tebro
della mia fedeltá. Chi seppe ogni altro
superar con l’imprese,
maggior d’ogni calunnia anche si rese.
Fulvia. Ma, se Cesare istesso il reo ti chiama,
s’io stessa l’ascoltai!
Ezio.  Può dirlo Augusto,
ma crederlo non può. S’anche un momento
giungesse a dubitarne, ove si volga,
vede la mia difesa. Italia, il mondo,
la sua grandezza, il conservato impero
rinfacciar gli saprá che non è vero.
Fulvia. So che la tua ruina
vendicata saria; ma chi m’accerta
d’una pronta difesa? Ah! s’io ti perdo,
la piú crudel vendetta
della perdita tua non mi consola.
Fuggi, se m’ami; al mio timor t’invola.