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atto terzo 223


ch’io ceda il ferro, eccolo; (getta la spada)
 un tuo comando
udir non voglio.
Cesare.  Ah! no, torni al tuo fianco,
torni l’illustre acciar.
Catone.  Sarebbe un peso
vergognoso per me, quando è tuo dono.
Marzia. Caro padre...
Catone.  T’accheta.
Il mio rossor tu sei.
Marzia.  Si plachi almeno
il cor d’Emilia.
Emilia.  Il chiedi invano.
Cesare. (a Catone)  Amico,
pace, pace una volta.
Catone.  Invan la speri.
Marzia. Ma tu che vuoi? (ad Emilia)
Emilia.  Viver fra gli odii e l’ire.
Cesare. Ma tu che brami? (a Catone)
Catone.  In libertá morire.
               Marzia. Deh! in vita ti serba. (a Catone)
          Cesare. Deh! sgombra l’affanno. (ad Emilia)
          Catone. Ingrata, superba! (a Marzia)
          Emilia. Indegno, tiranno! (a Cesare)
          Cesare. Ma t’offro la pace. (a Catone)
          Catone. Il dono mi spiace.
          Marzia. Ma l’odio raffrena. (ad Emilia)
          Emilia. Vendetta sol voglio.
          Cesare. Che duolo!
          Marzia.  Che pena!
          Emilia. Che fasto!
          Catone.  Che orgoglio!
          Tutti. Piú strane vicende
           la sorte non ha.
               Marzia. M’oltraggia, m’offende (da sé)
           il padre sdegnato.