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218 iii - catone in utica


peggior de’ rischi miei rendon l’aspetto.
Ah, se d’uscir la via
rinvenir non sapessi!...
 (guardando s’avvede della porta)
 Eccola. Alquanto
l’alma respira. Al lido
si affretti il piè. Ma, s’io non erro, il passo
chiuso mi sembra. Oh Dio!
Pur troppo è ver. Chi l’impedí? Si tenti.
 (torna alla porta)
Cedesse almeno. Ah, che m’affanno invano!
Misera! che farò? Per l’orme istesse
tornar conviene. Alla mia fuga il cielo
altra strada aprirá. Numi, qual sento
di varie voci e di frequenti passi
suono indistinto! Ove n’andrò? Si avanza
il mormorio. Potessi
quel riparo atterrar! Né pur si scuote.
 (s’appressa di nuovo, e scuote la porta)
Dove fuggir? Forza è celarsi. E quando
i timori e gli affanni
avran fine una volta, astri tiranni? (si nasconde)

SCENA VI

Emilia con ispada nuda e gente armata, e detta in disparte.

Emilia. È questo, amici, il luogo ove dovremo
la vittima svenar. Fra pochi istanti
Cesare giungerá. Chiusa è l’uscita
per mio comando; onde non v’è per lui
via di fuggir. Voi fra que’ sassi occulti
attendete il mio cenno. (la gente d’Emilia si ritira)
Marzia.  (Aimè, che sento!)
Emilia. Quanto tarda il momento
sospirato da me! Vorrei... Ma parmi