Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/196

190 iii - catone in utica


Fulvio. E il senato...
Catone.  Il senato
non è piú quel di pria; di schiavi è fatto
un vilissimo gregge.
Fulvio.  E Roma...
Catone.  E Roma
non sta fra quelle mura. Ella è per tutto,
dove ancor non è spento
di gloria e libertá l’amor natio;
son Roma i fidi miei, Roma son io.
               Va’, ritorna al tuo tiranno,
          servi pure al tuo sovrano;
          ma non dir che sei romano,
          finché vivi in servitú.
               Se al tuo cor non reca affanno
          d’un vil giogo ancor lo scorno,
          vergognar faratti un giorno
          qualche resto di virtú. (parte)

SCENA III

Marzia, Arbace e Fulvio.

Fulvio. A tanto eccesso arriva
l’orgoglio di Catone!
Marzia.  Ah! Fulvio, e ancora
non conosci il suo zelo? Ei crede...
Fulvio.  Ei creda
pur ciò che vuol. Conoscerá fra poco
se di romano il nome
degnamente conservo,
e se a Cesare sono amico o servo. (parte)
Arbace. Marzia, posso una volta
sperar pietá?
Marzia.  Dagli occhi miei t’invola;
non aggiungermi affanni
colla presenza tua.