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atto primo 165


Arbace.  Se t’amo! E cosí poco
si spiegano i miei sguardi,
che, se il labbro nol dice, ancor nol sai?
Marzia. Ma qual prova finora
ebbi dell’amor tuo?
Arbace.  Nulla chiedesti.
Marzia. E s’io chiedessi, o prence,
questa prova or da te?
Arbace.  Fuorché lasciarti,
tutto farò.
Marzia.  Giá sai
qual di eseguir necessitá ti stringa,
se mi sproni a parlar.
Arbace.  Parla. Ne brami
sicurezza maggior? Su la mia fede,
sul mio onor t’assicuro,
il giuro ai numi, a que’ begli occhi il giuro.
Che mai chieder mi puoi? La vita? il soglio?
Imponi, eseguirò.
Marzia.  Tanto non voglio.
Bramo che in questo giorno
non si parli di nozze: a tua richiesta
il padre vi acconsenta;
non sappia ch’io l’imposi, e son contenta.
Arbace. Perché voler ch’io stesso
la mia felicitá tanto allontani?
Marzia. Il merto di ubbidir perde chi chiede
la ragion del comando.
Arbace.  Ah! so ben io
qual ne sia la cagion. Cesare ancora
è la tua fiamma. All’amor mio perdona
un libero parlar. So che l’amasti;
oggi in Utica ei viene; oggi ti spiace
che si parli di nozze; i miei sponsali
oggi ricusi al genitore in faccia:
e vuoi da me che t’ubbidisca e taccia?