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10 i - didone abbandonata

SCENA V

Iarba sotto nome d’Arbace, Araspe e detti.

Mentre al suono di barbari stromenti si vedono venire da lontano Iarba ed Araspe con séguito di mori e comparse, che conducono tigri, leoni, e recano altri doni da presentare alla regina, Didone, servita da Osmida, va sul trono, alla destra del quale rimane Osmida. Due cartaginesi portano fuori i cuscini per l’ambasciatore africano, e li situano lontano, ma in faccia al trono. Iarba ed Araspe, fermandosi sull’ingresso, non intesi dicono:

Araspe. (Vedi, mio re...
Iarba.  T’accheta:
finché dura l’inganno,
chiamami Arbace, e non pensare al trono:
per ora io non son Iarba, e re non sono.)
Didone, il re de’ mori
a te de’ cenni suoi
me suo fedele apportator destina.
Io te l’offro qual vuoi,
tuo sostegno in un punto o tua ruina.
Queste, che miri intanto,
spoglie, gemme, tesori, uomini e fere,
che l’Africa soggetta a lui produce,
pegni di sua grandezza, in don t’invia.
Nel dono impara il donator qual sia.
Didone. Mentre io ne accetto il dono,
larga mercede il tuo signor riceve.
Ma, s’ei non è piú saggio,
quel, ch’ora è don, può divenire omaggio.
(Come altiero è costui!) Siedi e favella.
Araspe. (Qual ti sembra, o signor? (piano a Iarba)
Iarba.  (piano ad Araspe) Superba e bella.)
Ti rammenta, o Didone,
qual da Tiro venisti e qual ti trasse