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atto terzo 147


Arasse.  La cura
d’ucciderlo accettai, ma per salvarlo.
Emira. Perché tacerlo al padre
pentito dell’error?
Arasse.  Parve pietoso,
perché piú nol temea: se vivo il crede,
la sua pietá di nuovo
diverrebbe timor. Cede alla téma
di forza la pietade:
quella dal nostro, e questa
solo dall’altrui danno in noi si desta.
Emira. Siroe dov’è?
Arasse.  Fra’ lacci
attende la sua morte.
Emira. E nol salvasti ancor?
Arasse.  Prima degg’io
i miei fidi raccórre,
per scorgerlo sicuro ove lo chiede
il popolo commosso. Or che dal padre
si crede estinto, avremo
agio bastante a maturar l’impresa.
Emira. Andiamo. Ah! vien Medarse.
Arasse. Non sbigottirti: io partirò; tu resta
i disegni a scoprir del prence infido.
Fidati, non temer.
Emira.  Di te mi fido. (parte Arasse)

SCENA VII

Emira e Medarse.

Emira. Che ti turba, o signor?
Medarse.  Tutto è in tumulto,
e mi vuoi lieto, Idaspe?
Emira. (Ignota ancor gli son.) Dunque n’andiamo
ad opporci a’ ribelli.