ma i difetti d’entrambi il tempo e l’uso
a poco a poco emenderá. Frattanto
temo che a nuovi sdegni
la mia scelta fra voi gli animi accenda.
Ecco l’ara, ecco il nume:
giuri ciascun di tollerarla in pace,
e giuri al nuovo erede
serbar, senza lagnarsi, ossequio e fede. Siroe. (Che giuri il labbro mio?
Ah no!) Medarse. Pronto ubbidisco. (Il re son io.)
«A te, nume fecondo,
cui tutti deve i pregi suoi natura,
s’offre Medarse, e giura
porgere al nuovo rege il primo omaggio.
Il tuo benigno raggio,
s’io non adempio il giuramento intero,
splenda sempre per me torbido e nero». Cosroe. Amato figlio! Al nume,
Siroe, t’accosta, e dal minor germano
ubbidienza impara. Medarse. Ei pensa e tace. Cosroe. Deh! perché la mia pace
ancor non assicuri?
Perché tardi? Che pensi? Siroe. E vuoi ch’io giuri?
Questa ingiusta dubbiezza
abbastanza m’offende. E quali sono
i vanti onde Medarse aspiri al trono?
Tu sai, padre, tu sai
di quanto lo prevenne il nascer mio.
Era avvezzo il mio core
giá gl’insulti a soffrir d’empia fortuna,
quando udí il genitore
i suoi primi vagiti entro la cuna.
Tu sai di quante spoglie