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di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per sè stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini, ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura, e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre.

Conoscevasi da gran tempo una sostanza bianca la quale conserva il suo candore in un luogo totalmente oscuro, e diventa nera essendo esposta all’azione della luce. Il cambiamento non è istantaneo, ma graduato, e quindi proporzionale al tempo ed alla energia della irradiazione lucida; e però quando alcune parti di un foglio di carta cosperso di questa sostanza sono percosse da ombre più o meno decise, ed altre ricevono l’azione di un chiarore più o men vivo, si trova, dopo un certo intervallo di tempo, la superficie del foglio sparsa di macchie di varia intensità, le più nere corrispondenti ai punti che han ricevuto la più forte impression luminosa. Questo reagente, o indicatore degli efflussi luminosi, si compone di due corpi semplici, l’argento ed il cloro uno de’ principii che costituiscono il sal comune. Gli alchimisti lo scopersero verso la metà del secolo XVI e lo dimandarono luna, o argento corneo: ora esso è noto sotto la denominazione più razionale di cloruro d’argento.

Le immagini degli oggetti prodotte dalle lenti risultano dal complesso d’ombre e di tinte più o meno fosche, o vivaci: dunque il cloruro d’argento diffuso sopra una data superficie introdotta nel fuoco di una camera oscura, dovrà ricevere nelle varie sue parti delle azioni diverse, da cui risulterà un disegno ombreggiato del corpo la cui immagine si dipinge nel fondo dell’apparecchio. Questa conseguenza, cotanto semplice