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Stando alle cognizioni sinora acquistate, par certamente improbabilissimo che si giunga ad ottenere la stessa azion chimica dai colori superiori e inferiori dello spettro solare: tuttavia non intendiamo negare con ciò la possibilità d’imitare un giorno coi processi fotografici il chiaroscuro risultante da varie colorazioni riunite in un sol quadro; e fors’an che, gli stessi colori. Anzi dobbiamo far menzione di alcune ricerche d’Herscell, ed altri sperimentatori, dalle quali parrebbe risultare che il violaceo, il turchino, il verde, han prodotto impressioni analoghe, su certe carte preparate; ma codesti sono puri embrioni, e non possiamo per alcun modo antivedere, se sarà dato alla scienza di trovare l’alimento conveniente al loro ulteriore sviluppo. E giacchè l’occasione ci ha indotti a parlare di cose, le quali non hanno immediata relazione sul processo e l’uso presente del Dagherrotipo, gioverà citare i lavori del Signor Talbot, che si occupa da qualche anno, in Inghilterra, di sperienze fotografiche. I suoi disegni, che molti avranno osservati presso il chiarissimo nostro collega Cav. Tenore, si producono immediatamente sulla carta e somigliano assai a quella maniera di pitture d’una sol tinta conosciute sotto il nome di acquarelli alla seppia. La sostanza che riceve l’impronta è il cloruro d’argento, al quale l’autore toglie, con alcuni liquidi, la sua proprietà fotografica subito dopo d’averlo sottoposto all’influenza de’ raggi lucidi: altri chimici reagenti rendon chiare le parti imbrunite e viceversa; sicchè la copia presenta lo stesso chiaroscuro dell’originale, e si conserva sotto l’azione della luce diurna. Si è già veduto che le preparazioni di cloruro non sono gran fatto sensibili alle irradiazioni dotate di una debole energia: e però le carte del Talbot devono ne-