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gento sviluppa una tinta giallognola del tutto analoga al colore dell’oro, nel qual caso, giusta i calcoli del Dumas, la grossezza della materia sovrapposta all’argento arriva appena ad un milionesimo di millimetro. Estratta la lamina, si fa passare in un secondo recipiente inaccessibile alla menoma quantità di luce; e quindi nell’interno della camera oscura, sostituendola al vetro smerigliato, il quale si è prima situato esattamente nella posizione focale, mediante un apposito meccanismo, che lo avvicina più o meno alla lente, sintantochè si vegga perfettamente distinta l’immagine dell’oggetto. Quì il periodo dell’operazione non può determinarsi esattamente, per chè dipendente dalla latitudine, dall’altezza del sole, e dalla trasparenza dell’aria. A Parigi, convien lasciare la lastra esposta all’influenza dell’immagine luminosa, quindici, o venti minuti d’inverno, e cinque, o sei d’estate: nelle terre più meridionali, e sotto un cielo più chiaro e limpido, questi intervalli di tempo devono essere, probabilmente, minori. Per ogni paese, alcune sperienze preliminari divengono dunque indispensabili; esse non presentano tuttavia veruna difficoltà e potranno effettuarsi felicemente persino dalle persone le più ignare dell’arte sperimentale. La lastra si estrae dalla camera oscura rinchiusa nello stesso recipiente, impermeabile dalla luce, che aveva servito ad introdurvela, e si ripone sotto una inclinazione di 45° entro un terzo recipiente, il cui fondo è munito di una cavità che contiene un termometro ad asta sporgente ed un chilogrammo circa di mercurio. Sin quì non si scorge la menoma traccia di disegno; la superficie della piastra trovasi ancora coperta, in ogni punto, da uno strato uniforme del medesimo colore. Ma si scaldi il mercurio sino a sessanta gradi, colla fiamma di una lucerna ad alcool, o in qualunque