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e dopo averla tenuta in tale stato alquanto esposta alla luce solare, si liberi dalla carta disegnata, e s’introduca nel petrolio ove si lascerà tuffata per alcuni minuti: si estragga in fine e si lavi una o due volte nell’acqua. La copia del disegno vedrassi allora distintamente impressa sulla lamina, coi lumi e le ombre perfettamente corrispondenti all’originale; ed impressa in modo, da sfidar poscia l’azione ulteriore della luce senza pericolo di esserne cancellata.

Ciò che v’ha di più singolare in questo processo, si è che non si scorge la menoma ombra di disegno dopo l’esposizione della lastra all’azione de’ raggi lucidi: l’immagine esiste dunque in uno stato latente sul quadro, sintantochè l’influenza del petrolio non la renda palese. Secondo ogni probabilità questo liquido decompone e scioglie il bitume con una energia più o men grande, secondo la sua esposizione ad una maggiore o minore intensità luminosa: e pertanto l’immagine risulterebbe dal contrasto tra le porzioni corrose e quelle che rimangono intatte.

Qualunque sia la natura delle azioni prodotte successivamente sullo strato di bitume sovrapposto alla lamina, egli è certo che Niépce sciolse primo i due gran problemi, d’illuminare i disegni fotografici nel senso dovuto, e di renderli poscia insensibili all’azion della luce. La sua preparazione diede ottimi risultamenti essendo applicata alla copia delle stampe, degli acquarelli, o di qualunque altre specie di disegno in carta, mediante l’irradiazione diretta del sole; siccome apparisce evidentemente da una Memoria ed alcuni documenti ch’egli presentava nel dicembre dell’anno 1829 alla Società Reale di Londra. Ma quando si trattò della Camera Oscura, egli non tardò ad accorgersi che il suo reattivo non era sufficientemente sensibile alla debole energia dei raggi che co-