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e diretta, non pare essersi offerta all’ingegno perspicacissimo del Porta che doveva al certo conoscere le proprietà ottiche del cloruro d’argento scoperto un secolo prima; essa passò del pari negletta o inavveduta per centocinquant’anni dopo di lui, e venne finalmente in campo sul principio del nostro secolo per opera di Wedgwood: ma gli esperimenti diretti a tale oggetto da questo chimico, tanto benemerito delle arti ceramiche, riuscirono poco meno che infruttuosi; lo stesso avvenne de’ saggi fatti alcuni anni dopo dal celebre Humphry Davy: per guisa che, a malgrado dei tentativi di questi due illustri filosofi, tutto quanto poteva ottenersi intorno al modo di disegnar colla luce, consisteva in abozzi informi, e fugacissimi, come or ora vedremo.

Sorse finalmente colui che doveva trarre dalle fasce l’arte fotografica e porla in istato di giugnere in pochi anni ad una robustissima virilità.

Niépce proprietario ed abitante di una terra situata nei dintorni di Châlons-sur-Saône, cominciò le sue ricerche sulla fotografia nell’anno 1814, e le continuò col massimo ardore per tutto il rimanente de’ suoi giorni, che cessarono verso la metà del 1853.

L’applicazione del cloruro d’argento all’arte fotografica presentava due grandissimi inconvenienti. Siccome le parti percosse dalla luce s’anneriscono, e rimangono più o meno bianche quelle che sono immerse in una maggiore o minore oscurità, così i lumi e le ombre della copia stanno in senso inverso dell’originale. Per lo stesso motivo quando si copre una carta impregnata di cloruro d’argento con una stampa o disegno qualunque, e si espone il doppio foglio alla luce diretta del Sole in modo che i raggi percotano prima sul di-