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— Ah? Così? Stateci pure a comodo vostro... Ma intanto non è giusto... capite bene!... Sono madre...

E stavolta, risoluta, ordinò alla figliuola di prendere il manto e venirsene via. Lavinia obbedì, furibonda anche lei. Tutt’e due, uscendo da quella casa per l’ultima volta, fecero tanto di croce sulla soglia. — Una galera, quella baracca! La povera cugina Bianca ci aveva lasciato le ossa col mal sottile! — Zacco la sera stessa andò a far visita al barone Rubiera, invece di annoiarsi con quel villano di mastro-don Gesualdo che passava la sera a lamentarsi, tenendosi la pancia, all’oscuro, per risparmiare il lume.

— Mi volete, eh? cugino Rubiera... donna Giuseppina...

Don Ninì era uscito per assistere a certo conciliabolo in cui si trattavano affari grossi. Intanto che aspettava, il barone Zacco volle fare il suo dovere colla baronessa madre, ch’era stato un pezzo senza vederla. La trovò nella sua camera, inchiodata nel seggiolone di faccia al letto matrimoniale, accanto al quale era ancora lo schioppo del marito, buon’anima, e il crocifisso che gli avevano messo sul petto in punto di morte, imbacuccata in un vecchio scialle, e colle mani inerti in grembo. Appena vide entrare il cugino Zacco si mise a piangere di tenerezza, rimbambita: delle lagrime grosse e silenziose che si gonfiavano a poco a poco negli occhi torbidi, e scendevano