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canzoni e madrigali amorosi 47

     Corsi a le labra, e, quant’ardente ardito,
con grata allor non grave
violenza soave,
piú d’un spirto gentil n’ebbi rapito.
E la bocca divina,
pur contendente i baci,
crucciosa a la rapina
gli prendea tronchi e gli rendea mordaci.
Ma chiunque destina
ai baci Amor, né varca oltra quel segno,
quegli è de’ baci istessi ancora indegno!
     Qual mi fêss’io, ciò ch’io scorgessi in lei,
poiché le falde intatte
de l’animato latte
si svelâro (oh beati!) agli occhi miei,
ridir né so né voglio.
Mille oltraggi diversi
da quel tenero orgoglio,
mille ingiurie innocenti allor soffersi.
Ma, qual fra l’onde scoglio,
alcuna parte del mio seno ignudo
da la candida man mi facea scudo.
     Lentato il morso a l’avido desire
(oh dolcezze! oh bellezze!
oh bellezze! oh dolcezze!),
m’apersi il varco a l’ultimo gioire.
Quivi a sfiorar m’accinsi
l’orto d’Amor pian piano,
e nel suo chiuso spinsi
l’ardita mia violatrice mano.
Dolce meco la strinsi,
appellandola pur «luce gradita»,
«gioia», «speranza», «core», «anima» e «vita»!
     — Che fai, crudel? — dicea — crudel, che fai?
dunque me, che t’adoro,
del mio maggior tesoro,