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272 | parte quinta |
xi
la statua del principe tomaso di savoia
Questo, ch’illustre fabro al vivo incise,
giovinetto guerriero, in viva pietra,
e, ch’ancor finto, in sí feroci guise
spira spavento, onde vil uom s’arretra:
il nepote non è del grande Anchise,
ché gli armeriano il fianco arco e faretra;
non è l’ebreo, che ’l fier gigante uccise,
ch’avrebbe ne la mano o fionda o cetra;
e se fusse il garzon che nacque in Pella,
sosterrebbe lo scettro; e terria l’asta,
se fusse il tuo figliuol, Tetide bella.
Tomaso è, che gli agguaglia; e, se contrasta
con l’antico valor l’etá novella,
del gran Carlo è germoglio, e tanto basta.
xii
il facchino
fontana di Roma.
Oh con che grato ciglio,
villan cortese, agli assetati ardenti
offri dolci acque algenti!
Io ben mi meraviglio,
se vivo sei, qual tu rassembri a noi,
come in lor mai non bagni i labri tuoi.
Forse non ami i cristallini umori,
ma di Bacco i licori!