Beato pianto, aventurose e belle
lagrime, a lei cagion d’eterno riso,
non cosí ’l mar di perle, il ciel di stelle,
s’orna come di voi s’orna il bel viso.
Perdon l’acque de l’Ermo e perdon quelle,
appo voi, c’hanno il fonte in paradiso;
ché, tra ’l bel volto sparse e ’l crin celeste,
rive di fiori e letto d’oro aveste.
Fûr vivi specchi, in cui l’alma si scerse
i vostri puri e flebili cristalli,
e vide, allor che ’n voi se stessa asperse,
de’ suoi sí lunghi error gli obliqui calli;
lá dove quasi in pelago sommerse
i gravi troppo e vergognosi falli,
quando a lavar que’ santi piè vi sciolse,
e fûr le chiome il velo onde gli avolse.
Chiome, che, sciolte in preziosa pioggia,
su le rose ondeggiate e su le brine,
beate o voi, che, ’n disusata foggia
incomposte e neglette e sparse e chine,
quell’altezza appressaste, ove non poggia
di Berenice il favoloso crine!
Ceda a voi l’ombra e l’òr, poscia che sole
quel piè toccaste a cui soggiace il Sole.
Bocca, ove il cielo il nettar suo ripose
tra vive perle e bei rubini ardenti,
e tra vermiglie ed odorate rose,
per ferir l’alme altrui spine pungenti,
felice o te, che alte dolcezze ascose
traesti da que’ piè, puri, innocenti,
che tra’ nodi d’amor saldi e tenaci
avezzâr le tue labra ai casti baci!