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le pitture e le sculture 243


     Tu, del senso sprezzando ingordo e vano
i fugaci diletti e i lunghi affanni,
campar del mondo, adulatore, insano,
dall’insidie sapesti e dagl’inganni;
e ’n questo della vita ampio oceáno,
in sul fior giovenil de’ piú verd’anni,
trovasti al fragil legno, e quasi absorto
da l’umane tempeste, il polo e ’l porto.
 
     Cangiasti (oh pensier saggio, oh santa voglia!),
con vil antro selvaggio il ricco tetto,
con grossa, rozza e lacerata spoglia
il bisso prezioso e l’ostro eletto.
T’è bevanda il ruscel, cibo la foglia,
son sassi e spine il tuo prezioso letto,
che fan del corpo tuo battuto e stanco
e guanciali al bel volto e piume al fianco.

     Oh come bella alla solinga grotta,
pastorella romita, entro ti stai!
e come chiara, ove piú quivi annotta,
l’ombra rallumi co’ celesti rai!
Oh come dolce in flebil voce e rotta
a ragionar col sommo Amor ti stai!
Sí vivi espressi son gli atti e i lamenti,
ch’io vi scorgo i pensier, n’odo gli accenti.

     Occhi, per cui d’amor tant’alme e tante
pianser sovente, e mille cori e mille,
voi, voi, piangendo, appo le sacre piante
dolci versaste e dolorose stille;
voi, che giá fuste a lunga schiera amante
ministri sol di fiamme e di faville,
voi, voi, disciolto in tepid’onda il gelo,
bagnaste in terra (oh meraviglia!) il cielo.