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164 | parte quarta |
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— Perch’io difforme sia, perché pungente
abbia d’ispide sete il mento e ’l volto,
perché di negre lane irsuto e folto
il petto e ’l tergo e ’l crin porti cadente,
bella, non mi sprezzar: l’affetto ardente
gradisci almeno in rozza forma accolto;
sotto ruvida scorza anco sepolto
frutto pregiato il mar serba sovente.
Ah, del mio forte e smisurato busto
non rider, no! Conviensi, o vaga mia,
a te l’esser gentile, a me robusto. —
Dolente in atto, in cotal suon languía
l’aspro ciclope, e lungo il lido adusto
la fuggitiva Galatea seguía.
3
Piene di cento fiati e cento spirti
le cento inteste sue forate travi,
queste note, in un tempo aspre e soavi,
Polifemo cantò tra’ faggi e i mirti:
— O di Scilla e Cariddi, o de le Sirti
piú cruda e fèra; a le mie pene gravi
piú sorda, oimè! di questi sassi cavi,
ond’è che i crini aborri ispidi ed irti?
Or non sai tu ch’ignuda arida pianta,
cui di fronde, di fior, di ramoscelli
pompa non copra, o si recide o schianta?
Non sai che son de le setose pelli,
onde capro o lion natura ammanta,
fregio le lane ed ornamento i velli? —