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114 parte terza


     E ben talor che non cotanto offeso
d’amorose quadrella era il mio core,
giá senza noia il mio cantar inteso
fu da piú d’una ninfa e d’un pastore.
Or queste, che gran tempo inutil peso
pendon dal fianco mio, canne sonore,
altro non sanno che formar lamenti,
gonfie talor da’ miei sospiri ardenti.
 
     Ne la stagion che Progne peregrina
il dolce nido a far tra noi ritorna,
e ’n quella ancor che d’uva purpurina
il pampinoso dio le piagge adorna,
pascendo di sospir l’alma meschina
tra grotte oscure il tuo pastor soggiorna,
ch’inaridito, insterilito in tutto
vede d’ogni sua gioia il fiore e ’l frutto.
 
     Quando la rabbia de l’estiva cagna
tutto d’aliti ardenti il mondo alluma,
e quando per la gelida campagna
irrigidisce la mordace bruma,
pien d’aspre cure il tuo fedel si lagna,
ch’altro gelo, altro ardor l’ange e consuma;
e, fatto ognor di duo contrari gioco,
nel ghiaccio avampa e trema in mezzo al foco.
 
     Da che la terra in su la mezza terza
ferir si sente da l’adunco rastro,
fin che la sera inver’ la mandra sferza
le pecorelle il pastoral vincastro,
di lá fuggendo ove si canta o scherza,
seguendo Amor, ch’è mio tiranno e mastro,
mi stillo e stempro a forza di tormento,
piangendo in acqua e sospirando in vento.