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la cui mercé sono restituite oggi in Napoli e restaurate nell’Italia tutta all’attico splendore; se convenga, dico, essere avara di quelle medesime cose in iscritto che loro ha in gran parte a voce viva liberalmente participato?

Ella, c’ha cosi gran parte avuto in tutte l’opere buone ch’a suo tempo in questa nostra patria ed in molte fuori son fatte, e che con reale magnificenza ha da’ fondamenti eretto un cosi bene istituito collegio per l’acquisto delle scienze e delle virtú, vorrá invidiare le sue fatiche a coloro stessi per cui non ha risparmiato né sudore né spesa? Ella, del cui giudizio si sono i prencipi grandi, i generali degli eserciti e’ re stessi valuti, dará a se medesima consiglio cosi deforme dall’altre sue operazioni? Ella, la cui pietá e religione è vivo esempio a tutti i buoni e da cui il prendo io, in questa mia cadente etá, non meno di virtú e di divozione che, nella giá sorgente, di costumi e di dottrina il prendessi, e per gli cui conforti mi veggo riposto nel sentiero al qual, com’io spero, la stessa providenza divina m’ha richiamato in quest’anni (che saranno forse gli ultimi della mia vita) alla patria, riducendomi ad osservare in V. S. illustrissima e nelle sue azioni e nelle parole quel che finora giammai non conobbi, vorrá in questa parte lasciar di se medesima cosi differente esempio dagli altri suoi?

Perché privare i filosofi della sua fisiologia, i teologi della filosofia catolica, i matematici de’ detti d’ Euclide, gli astrologi delle tavole de’ moti, i teatri delle tragedie, i poeti delle rime e tutti gli studiosi de’ discorsi academici e di cent’altre opere sue ch’io so e forse di molte piú ch’io non so?

Certamente non sarebbe questa rispondente all’altre sue azioni, né proporzionata alla dottrina, prudenzia e pietá ond’Ella è piena. Vadano adunque prima fuora i Dialoghi e facciano la scorta all’altre opere. Alle quali tutte vorrei esser padrino, ma che poss’io in gran parte quasi vecchio e del tutto infermo? Celebrarle con le rime è picciol ossequio e da me giá prestatole piú anni sono; ma perché ad ogni modo ambisco avervi il mio nome, v’ ho fatto gli argomenti, dimostrazion d’obligo e d’affetto non fatto da me ad altri giammai e ch’a niun altro mi starebbe ben


==Pagina:Marino,_Giambattista_–_Epistolario,_Vol._II,_1912_–_BEIC_1873537.djvu/87 fare, come ch’in servigio di V. S. illustrissima mel rechi a sommo onore. E cosi la supplico a concedermelo, nel fargli trascrivere innanzi ai Dialoghi stessi, e forse meglio assegnando a ciascuno il suo: cosi i primi a’ quattro Dell’ Amore, come gli altri a’ quattro Della Bellezza , ché gli ultimi de’ quattro Parodossi gli ho ritenuti, volendovi ammendare alcuni errori del trascrittore.

Mentr’io le bacio riverente le mani, supplicandola a perdonar la mia se l’invia questa d’alieno carattere, gravata tuttavia dal male, ancorché migliorato, la Dio mercé, da quel ch’Ella mi lasciò ieri. E le priego da Nostro Signore felicissima salute sopra la mia stessa vita.

Di casa, il di xv di marzo 1625.