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CCXXXVIII

Al medesimo


Si scusa di non mandare una poesia di risposta, invia scatole pel procaccio e si scusa di non poter rendere un servigio a Gaspare Salviani.

La vena mi è mancata, onde da un tempo in qua non posso cacare un maledetto verso. Piú volte mi son messo giú per far la risposta di V. S., e non mi riesce cosa che vaglia: la priego a scusarmi ed a credere che io non me ne scordo.

Poiché veggo che il commercio di mare non è libero ed il coltivare la mia servitú col signor cardinale di Cremona importa tanto, mi risolvo di mandar le scattole col procaccio, ancorché io sia sicuro che verranno tutte guaste. Penso adunque per l’altra settimana inviarle, e ne darò aviso a V. S.

V. S. mi fará favore di dire al signor Gasparo Salviani che le sue lettere i segretari non vogliono riceverle, ed in mano del signor viceré non posso consegnarle per le cagioni giá scritte. Onde, se desidera che abbiano buon recapito, bisogna procurare che di costá vengano indirizzate a S. E. dentro il piego dell’ambasciatore di Spagna.

Ho cercato quel signor Montalbano, ma non si ritrova né morto né vivo; onde non credo che egli sia in Napoli, perché Laverei veduto. Con tutto ciò credami che, quando lo ritrovassi, non farebbe piú di quello che ho fatto io, né averebbe maggior favore di me, se sfacciatamente non volesse darle al viceré.

Quando a V. S. parrá tempo che le balle de’ miei libri possano venir liberamente per mare, mi favorisca impetrare da cotesto prelato, novo successore di monsignor Filonardi, quel medesimo privilegio che si era ottenuto dall’altro, cioè ch’elle se ne stiano in qualche luogo senza essere aperte infino al mio ritorno, il quale spero che sará verso la fine di novembre, s’altro intoppo non mi trattiene. E con tal fine bacio a V. S. mille volte le mani.

Di Napoli [autunno 1624].