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Il Rossino ha scritto qui a suo fratello ch’egli non è venuto per la voce sparsa della mia morte. Il simile mi dice che gli ha scritto sua madre, a cui V. S. potrá parlare e dirle che, poiché io son vivo, fará pur a tempo di venire.

Quanto al giovine di cui V. S. mi scrive, mi accenni quel che vuole ch’io faccia, ché io lo farò. Per servigio mio non so come potrebbe riuscirmi, poiché Ella sa che io ho il gusto stravagante. Ma se sará in Roma a tempi freschi, vedremo la sua disposizione. Aspetto risoluzione della cosa di Petruccio, e le fo sapere come il signor Pietro Ettori si ritrova in Napoli, per quanto mi è stato detto da molti. Intendo che sta con certi corsari di buona qualitá. Io, dubitando se sia vero o no, ne ho dimandato Agostino, il quale mi dice d’averlo veduto: se cosi è, capiterá senz’altro a casa mia, perché gli amici vel condurranno.

Se il negozio che è in mano del signor Canale preme a V. S., non mancherò di scrivergli e manderò la lettera a lei stessa. Ma sa bene quel che io le dissi, cioè che questi sono uffici superflui ed inutili, perch’egli da sé non vi può far nulla, e son tutte chiacchiere quando l’ordine non vien dal padrone. Io non vorrei importunarlo senza frutto e senza proposito; ma s’Ella vuole, lo farò.

V. S. mi risaluti caramente il mio signor Crescenzio, e s’informi s’io posso qui servirlo in alcuna cosa di suo gusto e di quel che si può fare nelle liti che tiene, perché, per la grande introduzione che ho in palazzo e per l’amicizia che tengo con questi ufficiali, forse sperarei che le mie istanze dovessero essere di qualche efficacia, almeno in quanto al sollecitare i negozi per mille mezi con ogni diligenza. E qui, baciando le mani al signor Tancredi, le priego dal cielo ogni ’■•’•osperitá.

Di Napoli [estate 1624].