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382 TOMMASO STIGLIANI

e cordialmente. Poiché esso suo saluto ha fatto ufficio di salute apunto sopra le varie indisposizioni ch’io patisco, e tutte crudeli, secondo che il signore Caruso, ch’a lei è lator della presente, testificherá in voce; il quale, coll’occasione del visitarmi, m’ha spesso udito gridare, anzi quotidianamente. Ma la piggiore infermitá ch’io abbia, e che maggiormente accresce l’altre e distrugge me, si è una che si chiama «settantasette» e che l’anno che verrá si chiamerá «settantotto», purch’io non muti mondo avanti che ella muti nome. Comunque però sia per succedermi, s’assicuri l’E. V. che, finché sarò lasciato in questa vita, le viverò sempre parzialissimo servo ed avido de’ suoi comandamenti e che, quando sarò salito all’altra, Ella avrá in paradiso un’anima obbligata, che sempre pregherá il Signor de’ signori a far si che noi ci abbiamo lá a rivedere, ma di qui a cento anni.

E fratanto le fo affettuosa riverenza.

Di Roma, 20 aprile 1650.

CXXV

Al principe di Gallicano


D edica delle Lettere.

In Roma, primo d’ottobre 1650.