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XCIV

Al signor duca Paolo Giordano Orsini, a Bracciano


S ui vv. 31-3 del ventesimoterzo del Purgatorio.

Avea V. E. questi giorni passati letto in una mia risposta al signor cardinale Orsini la dichiarazion ch’io fo del «temer suppe» detto da Dante. E secondo ch’essa l’era piaciuta, m’onorò ier marina ancor Ella di domandarmi sopra il medesimo autore un altro dubbio; il quale è: che cosa quello intendesse quando nel canto ventesimoterzo del Purgatorio disse:

Parean l’occhiaie anella senza gemme: chi nel viso degli uomini legge «omo» bene avria quivi conosciuto l’«emme».

Ma perché allora 1’ E. V. era quasi col piè in istaffa per andare a Bracciano, io le risposi che gliene avrei scritto lá una lettera a posta. Attengo dunque la promessa; e dico che questi versi non sono insino a qui stati capiti da’ commentatori che caminano per le mani studiose, i quali gli hanno erroneamente esposti con una ridicola combinazione di tempie, di naso e di ciglia che non quadra punto, si come 1’ E. V. medesima può in lor vedere, e precisamente ne’ due piú correnti, che sono Landini e Vellutelli. Queste loro interpretazioni io esaminai infin da giovane e, non essendone restato soddisfatto, pensai in lungo come ciò potesse intendersi; e finalmente v’adattai una sposizione, la qual credo sia veracissima.

Ivi si ragiona dell’anima di Forese, che purgava il peccato della gola coll’inedia e col digiuno in compagnia di simili peccatori. La quale anima, essendo in forma di corpo vivo (come son finte dall’autor tutte l’altre non solo nel Purgatorio ma ne\Y Inferno), era per la penitenza di cinque anni diventata si estremamente magra e macilenta, che non avea polpe nelle membra ma le sole ossa e la pelle. Venendo dunque il poeta a descriverne la faccia, dice che le casse degli occhi assomigliavano ad anella