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mie, perché da me non sará per averne altra. Il difetto, ancorché sia grandissimo, non è inemendabile, stante l’essere V. S. giovane e di tenero ingegno. Perché, si come a principio esso germogliò dall’ impazienza, cosi si può ora sterpare a poco a poco colla tolleranza e colla diligenza, se non mente l’alTorismo che tutti i contrari si curino con altri contrari. La pazienza, signor Giovan Paolo mio, è la reina di tutte le virtú umane, e tristo colui che n’è privo! Perché senz’essa non si può in questa vita far cosa buona, ma tutte si fanno pessime: anzi ella è l’originaria radice di tutti i nostri vizi; ed a mio giudicio, uno che sia un gran dappoco o un grande ignorante o un gran tristo, altro non è in sostanza che un grande impaziente. La qual veritá io potrei agevolmente esemplificar qui, trascorrendo per tutte le pecche degli uomini; ma questo non è luogo se non di finir la lettera. Ed acciocché V. S. non diventi uno de’ sopradetti tre, abbia ora pazienza cosi dell ’esser stata da me ammonita come del sofferir la fatica ch’anderá nel metter in opera l’ammonizione. E le bacio le mani.

Di Roma, 2 d’agosto 1634.

LXXII

Al signor Giovanni Antonio Orsini


duca di Santo Gemini, a Nerola

Desidera di non essere immischiato nella compera che l’Orsini intende fare di Matera, per mezzo di monsignor Antinori.

Di Roma, 3 d’agosto 1634.

LXXIII

Al medesimo


Si scusa della precedente lettera. Di Roma, io decembre 1634.

G. 13 . Marino, C. Achillini e G. Preti, Lettere - 11.

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