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dal re alcuna pension nel Regno di Napoli, la quale per piú commoda esiggenza fusse situata sull’arcivescovado di Matera mia patria; massimamente ch’ai presente v’è luogo opportuno, essendo i pensionar! di quella chiesa tutti morti. Tentai l’istesso due anni sono, con iscrivere a dirittura al signor conte duca; ma, come non avevo costi persona che sollecitasse il negozio, non ottenni nulla. Non è cosi adesso, perché v’ ho il signor don Diego di Silva, mio amico. Egli di qui avanti negozierá per me, avendolo io instrutto che dia a V. E. il memorial regio e gliene tenga ricordata la spedizione.

Col qual fine, augurandole compita felicitá ed esaltazione, le fo umilissima riverenza.

Di Roma, 2 di febraio 1632.

LXXI

Al signor Gian Paolo Palombini, a Verona


Gli riesce impossibile di rispondere a una sua lettera, perché scritta

in pessima calligrafia.

Ricevetti la lettera di V. S. del 14 di settembre, alla quale, se ben rispondo, non so però che cosa rispondere, perché, per molta fatica ch’io v’abbia fatto e fattovi fare, non l’ho mai saputa leggere né intendere. Io non parlo qui di quella brevitá laconichissima dello spiegare i suoi concetti, la quale è troppo naturale in V. S. cosi nel favellar come nello scrivere; ché di questa non sento oramai piú noia, mentre, avendovi fatto sú alquanto di prattica, uso per interprete la discrezzione e per commentatore la conghiettura. Ma parlo di quel che sarebbe bastante a fare impazzare non che Edipo e la Sfinge, che sono gli spianatori degli enigmi, ma lo stesso Mercurio, che è lo dio della cifera e del gergo. Io dico quel suo carattere traditore, formato sempre o a foggia di geroglifici o a guisa di punti geometrici, e quelle sue breviature non usuali ma fatte a capriccio, verbigrazia, a gruppo salamone, a laberinti, a meandri e va’ discorrendo. Ne’ quali scarabozzoni e nelle quali breviazioni non giova il sapere