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i persecutori, la cosa perseguitata tornerá a risorgere), vorrei però mentre che vivo godere alcuna parte del mio onore nel modo che del loro hanno goduto gli altri miei pari: ché, siccome l’agricoltore non getta il seme a fin di perder quello ma di raccoglierne il frutto, cosi lo scrittore non iscrive a fin di perder l’inchiostro ma di trarne qualche onesta commendazione.

Adunque per sigillo io concludo che, se col favor di V. E. vederò che questi miei tre volumi, tornandosi a pubblicare in Vinezia mutino fortuna, m’arrischierò di dar fuori gli altri, che, essendo per lo piú dogmatici, saranno di non picciolo profitto alla gioventú studiosa. Alcun de’ quali sará dedicato a V. E. medesima, ed in alcuni altri saranno sparsi non rari segni della mia gratitudine verso la beneficenza sua: ché, ancorché il nome di lei sia piú atto ad illustrare i libri che bisognoso d’esser dai libri illustrato, in ogni modo maggior gloria gli è l’illustrarne molti che l’illustrarne pochi. E con questo fine affettuosamente la riverisco.

Di Roma, 15 settembre 1630.

LXVI

Al signor cardinale di Santa Cecilia, a Genova


Gli avvisa che monsignor Antinori, giá arcivescovo di Matera e ora di Siracusa, si recherá nella sua antica diocesi per alcune riscossioni.

Di Roma, io di febbraio i6[3ij.

LXVII

A monsignor Fabrizio Antinori, arcivescovo di Matera,


a Napoli

Scherza intorno all’andata di lui a Matera.

Di Roma, 2 di marzo 1631.

LXVIII

Al medesimo, a Frascati


Invia alcuni dolci.

Di Roma, primo di maggio 1631.