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i difetti di quello, o per inavvertenza dell’autore o perché gli piacciano. Né ci ho trovato altro di veritá schietta se non che esso si chiamava Giovan Battista Marino, e ch’era napolitano, e che, essendo vivuto un tempo in Roma ed un altro nella corte di Savoia ed uno altro in Francia, era poi morto in Napoli. Tutto il rimanente è alterato o, per dir meglio, adulterato con isfacciata mescolanza di composte menzogne e d’ immaginati ghiribizzi ; il che similmente si prova nelle dette mie postille. Delle quali falsitá io mi curo però assai poco, si come di quelle che niente m’appartengono, quantunque per ispasso l’abbia notate; ma ben mi doglio d’una sola che mi tocca. Questa è che lo scrittore, col lodar soverchiamente il Marino biasimando soverchiamente me, viene ad innestar coll’encomio la satira, per non dire colla lusinga la pasquinata; anzi viene a mostrar chiaro in tutta la testura dell’opera d’avere avuto non tanta intenzione d’onorare i morti quanta di vituperare i vivi. Cose che, si come non dovrebbono essere scritte da autori modesti e civili, cosi non dovrebbono esser sofferte dagli offesi, ma piú tosto esser rintuzzate con severe risposte. Certamente, signor Francesco, che mi sento un gran pizzicor nelle mani di pigliar la penna e di rispondere qualche cosa a questo autoruzzo; ma, perché odoro ch’egli è stato a ciò instigato da altri suoi pari, e perché veggo cosi lui come quegli esser piú forniti d’audacia che di sapere e piú ricchi di passione che di sofficienza, stimo quasi peccato il perder tempo in garrir con idioti, da’ quali non si può imparar nulla; essendo io solito di scrivere non a danno d’altri ma a profitto mio e del prossimo, né per voglia di contendere ma per desiderio d’ intendere. Addunque risolviamo liberamente di fare a lui ed a loro quello che per un simile rispetto giá facemmo i mesi passati al tanto temerario quanto imperito scrittor delle Rivolte di Parnaso ; cioè perdoniam lor del tutto senza farne parola, e sia assai vendetta l’allontanare il libretto dal mio studio, si come ora faccio, e donolo a V. S., accioché lo legga per ridersene. Alla qual per fine bacio le mani.

Di Roma, il di sudetto [12 febbraio 1626].