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Confesso ch’essi figli devono esser trattati al paro de’ padri nel mangiare e nel vestire, e di piú essere diligentemente ammaestrati in qualch’arte o esercizio secondo la condizione; accioché, se avviene che non si possa loro lasciar robba, almeno si lasci loro il modo d’acquistar quella.

Fin qui è il buon padre obligato dalla natura, al parer mio; ed a questo io non manco col mio Carlo, come V. S. meglio d’ogni altro sa, per esser domestico in mia casa ed intrinsico. Ma perché infino a qui (o sia per poco intelletto o sia per poca volontá o pur per l’uno e per l’altro insieme) io veggo ch’egli per conto dell’ imparare non mi mostra alcuna luce di profitto, anzi mi si fa conoscere per mezo stolido, io spero di mandarlo un di alla guerra overo d’aiutarlo di beni di chiesa con farlo prete, se a Dio piacerá ch’egli abbia vita. Dal quale, per fin di questa, prego a V. S. felicitá. E le bacio le mani.

Di Roma, [primi del 1620].

XLVI

Al signor Fortuniano Manlio, a Roma


Ragioni che lo hanno indotto a lasciare il servigio del duca di Parma.

Mi significa V. S. per la sua del 3 del corrente essere in cotesta cittá commune opinione che non per altro io mi sia licenziato dal piú servir cotesto serenissimo che per iscarsa soddisfazzione avutane in materia d’interesse. Risponderò breve e schietto. La cagion vera perché io ho lasciato il servigio di Parma non è stata per lasciare il servigio, ma per lasciar Parma. Il servigio mi spiaceva alquanto per la poca provisione, ma la stanza della cittá mi spiaceva molto per la poca riputazione, non potendo io ormai piú tollerarvi se non con mio grave scorno la lunga persecuzione de’ miei malevoli. E perché stimo piú l’onor che l’utile, mi son partito, non per li pochi danari ch’avevo dal signor duca, ma per li molti disgusti ch’avevo da’ persecutori. All’interesse della robba si trovava talora qualche rimedio, facendomi S. A. alcune grazie straordinarie e supplendo ancor