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Spinola (il quale è suo paesano) gliene domandò in Livorno, egli li rispose queste sole parole : — Sto qui perché volevano ch’io usassi il torto, non secondo il mio gusto, ma secondo il loro. — Il che se è vero, quel tal principe gli ha fatto in ogni maniera qualche torto, mentre ha punito coll’acqua quello ch’andava punito con altro elemento, e mentre ha tollerato che Nettuno usurpi la giurisdizione a Volcano.
Che poi il buon uomo, di galeotto ch’era, sia si improvisamente diventato poeta, sbalzandosi con subito salto da un mare ad un monte (che è Parnaso), che altro posso io dire se non maravigliarmi non poco? Ché, se ben la sua poesia è, come abbiam detto, insipidissima e puossi d’essa affermar con Catullo:
Non est in tanto corpore mica salis,
ciò non mi scema la meraviglia, ma me l’accresce e me la tramuta in istupore, vedendosi ch’egli non serba vestigio alcuno del salso luogo dove è stato lungamente e che nulla rattiene in sé di saporito, non ostante che ’l proverbio dica che: «Chi va al molino non può far che non s’ infarini tanto o quanto». Mi ristringo dunque nelle spalle, imparando che l’impossibile sia pur possibile, mentre manifestamente si vede accadere e succedere. E si come il Tasso chiuse una sua stanza con questo verso:
Ché dal sonno alla morte è un picciol varco; cosi io chiudo la presente lettera con quest’altro:
Ché dal remo alla rima è un breve passo.
Bacio a V. S. le mani.
Di Parma, [1619?].
XLIII
Al signor Ettorre Braida, a Torino
Si congratula con lui della nomina a segretario del cardinale di Savoia,
e scusa il duca di Poli, se, scrivendo al medesimo cardinale, gli
abbia dato dell’* Eminenza» invece che dell’» Altezza».
Di Parma, lorima del 1620].