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contrasto odo che mi si fa, e stovvi piú saldo ch’un piperno, sapendo assai bene che tutti i tempi una volta arrivano e che quello, che è e non pare, finalmente pare ed è. E per fine adio. Di Parma, 18 giugno 1619.

XLI

Al signor don Virginio Cesarini, a Roma


Condoglianze per la morte del padre.

Di Parma, 17 di luglio [di un anno non posteriore al 1619].

XLII

Al signor dottor Pietro Magnani, a Roma


D’un galeotto liberato e diventato di punto in bianco poeta a tempo perso.

Per quest’ultima posta io vengo certificato da V. S. ch’Ella osti abbia giá finite tutte le sue faccende e che fará di presto ritorno a Parma. Può Ella pensar ch’io la sto aspettando bramosamente, mentre sa che senza la sua presenza non so quasi vivere. Qui dunque non occorre che di grave io le scriva piú nulla, ma che il tutto riserbi al parlare in voce; e cosi faccio. Ma perché mi trovo stamane essere pur alquanto ozioso, ed insieme mi ricordo che son debitor di risposta ad una sua lettera vecchia di piú settimane, non resterò di non imbrattar tuttavia un altro poco di foglio.

Quel grosso libro di Rime di stampe di Viterbo, il quale V. S. m’inviò, m’è veramente riuscito conforme all’aspettazion ch’io n’aveva, cioè sciapito e senza un granel di sale. Né, benché sia stato impresso in Viterbo, gli gioverá punto l’augurio di tal nome, si ch’egli sia per aver vita; anzi, come cosa di Viterbo, avrá la vita dell’erba, ch’è il vivere una sola stagione. Con tutto ciò, io l’ho letto interamente e dal principio al fine con mio non picciolo trattenimento, per lo diletto che soglio prendere delle