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Atalché, se questi ultimi esempi da me prodotti e dichiarati vagliono qualche cosa, tornando noi al nostro «vo’», potremmo dir ch’esso, o che si fusse accorciato da «voio» o che da «voglio», potesse sempre comporsi in «votti» per due «t». E dire insieme potremmo che ’l Bembo non avesse in tutto errato in voler che «accòlo», dove fusse verbo e non avverbio, avesse a dirsi «accollo»; e che, in conseguenza, la si risoluta riprensione che il detto Cittadini gli fa riuscisse arrogante e temeraria. Ma, in tanta dovizia di ragioni, io rinunzio questa terza e m’attengo alle due sole prime, che sono la buona sincopa per via di sinalefa e la buona apocope per via di mozzamento. Ben credo che il «vo’» si sia da’ nostri breviato piú tosto nel secondo modo che è l’apocopato, che nel primo che è il sincopato; onde perciò sia piú da spesseggiarsi nelle scritture «votti» che «vóti». E la ragione è liquida e chiara. Imperocché, se nel modo primo si fusse breviato, ne seguirebbe che l’accorciamento non si potesse fare se non solo dove la parola succedente cominciasse da consonante, come è, verbigrazia, «vo’ fare», «vo’ dire», «vo’ prendere», «vo’ lasciare»; stante che per questa schietta ragione e non per verun’altra la «gl» infranta si dilegua e cade dalla pronunzia, diventando «i». Il che da ciò si conosce chiaro: che ’l Boccaccio nella novella della Belcolore disse toscanamente: «Adunque tòi tu», perché a «tòi» segue «tu», che comincia da consonante. E non avrebbe detto «Tòi adunque tu», perché a «tòi» segue «adunque», che comincia da vocale; ma detto avrebbe: «Togli adunque tu». E disse altrove «quei sassi», «quei giorni», «ai sassi», «ai giorni»: e non avrebbe detto «quei animali», «quei uffici», «ai animali», «ai uffici»; ma detto avrebbe «quegli animali», «quegli uffici», «agli animali», «agli uffici». E cosi in tutte l’altre somiglianti occorrenze. Ma esso verbo «vo’» noi reggiamo che si trova usato non pur seguendo consonante ma seguendo vocale, come è quando si dice: «vo’ andare», «vo’ eleggere», «vo’ intendere», «vo’ osservare», «vo’ udire» e va’ discorrendo. Di che non pure stanno piene le carte de’ toscani in iscrivendo, ma le lor bocche in parlando. La qual seconda