Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/273

Ma qui V. S. mi potrebbe forse dire: — E se io per caso non potessi vendere le pitture, non vorrai tu poi mandarmi il ritratto, giaché ti piace che non s’alieni ma che resti appo la mia persona? — Al che rispondo che vo’ mandarlo e volentieri, purch’egli possa venire. Ma V. S. sa che ’l poverello non ha piedi, essendo un mez’uomo dalla cinta in su. Benché questo impedimento importerebbe poco, poiché o egli potrebbe venir saltone come caminano i rospi, overo io lo potrei inviare a cavallo.

Ma, a dir liberamente il vero, la difficoltá principale si è ch’esso non ha piú quella volontá di venire ch’avea prima, ed

10 non vorrei sforzarlo; perché, essendo egli immagine mia e della mia passata gioventú, quando io scompiacessi a lui, mi parrebbe scompiacere a me medesimo. La cagion perché esso si sia ultimamente mutato di proposito io non posso dirla ch’insieme non dica una avvenuta maraviglia, anzi pure uno occorso prodigio. Io ho ritrovato esser verissime quelle parole che V. S. mi disse di lui in Parma in casa mia, per le quali io glielo offerii cortesemente in dono ed Ella senza cerimonie l’accettò; cioè che egli era si spiritoso e si vivo, che veramente parlava a qualunque riguardante il mirasse. Perciocché iermattina, leggendo io alquanto fortemente la sudetta lettera di V. S. dentro al mio studio, dove essa mi fu recata dal ministro della posta,

11 ritratto, ch’ivi appresso pendeva attaccato al muro, mi senti e, quasi sdegnandosi, proruppe in queste parole: — O Tomaso, per certo che la turchesca fisonomia e l’ebraica carnagione di quell’uomo avido che porta i mostacci grandi all’uso de’ tartari, al quale per mia disgrazia tu mi promettesti in dono, non m’ha punto ingannato. Perché, quando egli fu qui e mi guardava con quella sua faccia si furba e con quei suoi occhi si gatteschi e sfavillanti, io sospettai grandemente ch’egli mi bramasse per fine poco buono, essendo sbarbato come sono. 11 che tu vedi ora esser chiaramente succeduto e riuscito vero, se bene con qualche diversitá: perché, dove io credevo il peccato esser di lussuria, lo trovo esser d’avarizia; e dove pensavo che ’l disegno chinasse a Venere, veggo che mercurieggia. Io dunque, il quale