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grande Alberto duca di Michelburg, per aver egli scelta la vostra spada alle formidabili glorie di si perigliosa impresa. Or mirate a terra, e vedrete e caduta e trafitta l’invidia spirare ossequi e palpitare adorazioni alla vostra destra.

A voi, famoso Ottavio, l’eternitá costa solo una giornata. Benedite pure quell’oriente che ve l’aperse e quell’occidente che ve la chiuse, poiché nel brieve spazio di quel tempo i talenti del vostro ferro spesi in una gotica corona hanno potuto costituire una condegna dote all ’immortalitá del vostro nome. Seguite pure gl’ intrapresi calli delle vostre militari prodezze, che giá gl’incensi de’ poeti fumano serenitá per voi, e quei fumi sono i veri seguaci di quei fulmini gloriosi che s’aventano dal vostro braccio contra le turme ostili.

Voi per particolar providenza del cielo portate cinque lune falcate per insegna. Egli era, credo io, fatale che dentro a coteste mezelunc Cesare si fortificasse e ne restasse difeso; e quinci ha mutato l’aquila costume, ché se prima ella era l’augel del sole, ora con sicurezza maggiore si volge alle vostre lune. Gloriose lune, che, correndo l’ellitica della gloria, hanno meravigliosamente potuto ecclissare il piú bel lume dell’Aquilone!

Volgete, o grande Ottavio, i marziali e magnanimi gesti all’acquisto del sospirato colle di Sion; ché per mieter l’Oriente le vostre lune v’apprestano le falci, e intanto il cielo va maturando quella messe alla vostra mano. Giá parmi di vedere ch’ai vostro apparire l’ottomana luna e tramonti e si renda captiva al piè del Calvario; e giá le lune, che nella vostra insegna stanno prigioniere della croce, mostrano de’ miei presagi nobilissimi argomenti.

Dietro ai carri degli antichi trionfi s’ammetteano le maledicenze, perché con saggio avviso temprassero il bollor degli applausi. S’ammetterá benanche nel Campidoglio de’ vostri onori la lode imperfetta che io nel qui congiunto sonetto ho risoluto d’inviarvi (*). E con attonita riverenza vi bacio le mani.

Di Parma, li 6 febraro 1633.

(1) I sonetti sono due: «Vanne a mieter Soria, vanne veloce», «Quella mano che sostentò l’impero». [Ed.]