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Intorno a una lettera adulatoria scritta da Giambattista Manzini probabilmente al duca di Parma.

Non mi è parso convenevole di far molta seria ponderazione intorno alla lettera di Giovan Battista Manzini, inviatami da V. S., poiché troppo manifestamente vilipende il decoro e offende la modestia di quel gran principe a cui è scritta; ma perché i concetti di essa, ancorché empii, danno per lo piú in sciocchezze ridicole, ho stimato assai opportuno l’essaminarla da beffe e risponderli giocondamente. Né mi astengo di manifestare a V. S. in confidenza i sentimenti del mio libero genio, poiché la bassa opinione che porto all’opera del Manzini non mi vien controversa da altri che da qualche giovanastro ignorante. Passi V. S. un’ora di caldo con la lettura di questi scherzi. E le bacio le mani {seguono il testo della lettera del Manzini, e tre proposte di risposte burlesche ].

Di Ferrara, [non posteriore al 1624].

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Domanda di ritornare alla cattedra di Bologna col medesimo stipendio che percepisce in quella di Ferrara.

Sono quindeci anni che io leggo nella prima catedra dello Studio di Ferrara, il qual servizio, per essere da me fatto in una cittá della Sedia apostolica, piú di una volta è stato da me preferito alle prime catedre di Padoa, di Pavia, di Parma e di Pisa; ed in questo longo corso ho avuto occasione di non demeritare ancora apresso la Sedia apostolica, per le molte fatiche, e di mente e di corpo, che io sostenni in Piemonte per la pace d’Italia sotto due brigosissime nunciature. Ora per