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percioché, come quelle non credono che la leggiadria e splendidezza consista in altro che negli estremi, le figure loro o troppo larghe ed abbondanti o troppo misere e ristrette formando, e nissuna al capriccio loro piacendo che non abbia dello strano del nuovo e del mai piu non veduto; cosi si danno questi ad intendere che poco leggiadro e poco poetico sia tutto quello che ogn’ordinario stil non eccede; né cosa da loro è tanto o quanto approvata, che appresso agli altri, quantunque buoni, sia in uso. Ed a cotanta meschinitá di gusto sono ridotti, che nissuna voce propria lor piace e la puritá fa lor nausea, e, povera d’ingegno estimandola, solo «ingegnoso» chiamano quello che, per un tal diforme diletto, quasi prodigio e portento s’ammira.

Io dunque, signor Achillino, che me stesso in parte conosco e so che a questi tali non prevaglio, anzi pur cedo d’ingegno, d’avvanzarli almen di giudicio, se non in tutto, in questa parte almeno, desidero; e però, dalla loro temeritá facendo nascer io il salutifero mio riguardo, di cauto divenire, col loro esempio, quanto posso, procuro. Ma se questo, che chiamo io cautela e riguardo, sia vano scrupulo e sowerchio timore, e s’egli non meno che l’audacia meriti d’esser anch’ei ripreso, come quello che freni il corso dell’eloquenza ed estingua il calor dell’ingegno piú tosto che lo rassicuri e raffini, a lei (come dissi fin da principio) ne rimetto il giudicio. Ché, bastando a me d’aver sodisfatto all’obligo della promessa, a V. S. col fine di questa bacio la mano e le prego da Nostro Signore Dio lunga salut’ e prosperitá.

Di Mantova [tra il ióio e il 1616].

XLI

Monsignor Merlini a...

Discorrendo della necessitá della filosofia nella giurisprudenza, adduce l’esempio e invoca l’autoritá deU’Achillini.

Per lettere scritte a monsignor mio ho inteso con mio gusto che il signor Achillini nostro ha con novo metodo, ma ingegnosissimo al solito, rinchiuso in cinque lezioni tutta la matteria d’una intiera terzaria, per resarcire i danni che dalla