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gladius agcbat? cuius latus ille mucro petebat? quis sensus erat armorum tuorum? ’». Vuol dunque quel famoso retore con gli esempi da lui addotti avvertirci che, poco piú oltre che il poeta e l’oratore latino traslatando fossero trapassati , avrebbono la metafora, non col pericolo fatta eminente e mirabile, ma colla ruina rendutala fredda e ridicola. Ché il dir d’un fiume poderoso e veloce che di soffrire egli ponte si sdegni, e l’attribuir a una spada quell’atto, quella intenzione e quel senso che suol avere colui che contra il suo nimico l’adopera — crescendo quasi di quella maniera traslati, che chiamano i latini dalle cose animate alle inanimate e che dal filosofo nel terzo della Retorica fúr grandemente lodati; e trovandosi, tra le cose c’ han vita e spirano e quelle che non han senso, gran lontananza e divario; e riuscendo strano spettacolo il veder in un guardo solo oggetti tra sé molto diferenti e remoti, sempre che con grande artificio in quella guisa non sono uniti, che suole il buon pittore il chiaro e scuro unire con l’ombra; — se queste figure non si formano con colori isquisitamente maneggiati e composti, invece di eccitar maraviglia (come si è detto ed è forza replicar molte volte), riso e stomaco nei sani e maturi giudici sogliono cagionare. E se vogliam contraporre un esempio di chi, non contentatosi d’accostarsi all’audacia, passò il termine e traboccò nel pericolo, eccolo pur d’ Aristotile nel sopracitato libro, dove riprende Gorgia che con metafora troppo lontana chiama «pallidi» i negozi ed «esangui», E forse comendato l’avrebbe, se, con piú modesto traslato, che essi «languiscono» avesse detto; percioché tra ’l languire d’un corpo infermo che, nutrendosi poco, non possa ben muoversi, e tra l’anneghittir d’un negozio che, privo dell’altrui protezione e diligenza, al desiderato fine docilmente proceda, è certamente maggior somiglianza che non è tra questo e Tesser senza sangue e colore, poiché T«esangue» ed il «pallido», applicato a negozi, di «chimera» piú tosto che di «metafora» merita il nome.

Pericolosa dunque e docilissima da condurre a lodato fine, signor Achillino mio, è l’impresa del traslatare; ond’io, per la mia debolezza, senza fa scorta di autorevof maestro di pur