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e Iodata quella del mio signor conte Ridolfo Campeggi per bocca dell’illustrissimo signor Cardinal San Cesareo, nelle cui mani pervenne il piego. E per Dio! ch’io mi sento eternamente dovere tutto me stesso a cotesto signore; e chi non adorasse tanta gentilezza accoppiata a tanto valore? Egli mi scrive un diluvio di tenerezze con un eccesso di smoderato affetto, le quali si vede chiaramente che procedono non da affettazione ma da affezione. V. S., per mia fé, mi favorisca di rendergli con ogni caldezza grazie di si cortese ufficio; ch’io per me non ho lingua né penna da poter corrispondergli a bastanza.

[Di Torino, febbraio o marzo del 1609].

XVI

A Giambattista Marino


Ancora dell’attentato del Murtola.

Ho letto il manifesto quattro volte e l’hanno a questa ora con esso meco veduto quasi tutti gli amici. Insomma né per candidezza di stile corrente, né per affetti mossi a luogo e tempo, né per mille vivezze ond’egli in cento luoghi è asperso, penna d’ Italia lo potrebbe appressare non che arrivare. Non si può leggere senza odiarne il Murtola, amarne V. S. ed ammirare il suo nobilissimo ingegno. Oh d’amarissima radice dolcissimo germoglio! puossi benedire il rischio passato, da che per mezzo di lui, senza danno di lei, sono spiccate dalla sua fecondissima vena acque cosi serene! E chi sa, se il Murtola vive, che si preziosi parti dell’ingegno di V. S., che forsi passano quante cose Ella fece giamai. non siano per esser l’unico mezzo per farlo acquetare, convertendo l’invidia in meraviglia, l’emulazione in imitazione e le detrazioni in lodi? Perché, ad ogni modo, egli può ben avisarsi che i finissimi allori, ond’EUa porta meritamente coronati i crini, la renderanno mai sempre sicura dai fulmini del cielo non che da quelli degli uomini. Vuoisi tra poeti guerreggiarsi con le bacche del lauro, pianta